LA VITILIGINE
La vitiligine è un disordine acquisito della pigmentazione caratterizzato da macule acromiche ben circoscritte, di colore uniforme, bianco latteo. La chiazza di vitiligine è delimitata da contorni spesso irregolari, ma ben evidenti, a volte con un rinforzo marginale iperpigmentato; la superficie è normale (né atrofia, né ipercheratosi) se si eccettuano le alterazioni pigmentarie che possono interessare anche i peli. I due sessi sono ugualmente colpiti con un’incidenza pari a 0,5-2% della popolazione mondiale.
La vitiligine può iniziare a qualsiasi età, ma nel 50% dei casi insorge tra i 10 e i 30 anni.
E’ una malattia imprevedibile; può restare silente per anni o avere progressioni repentine. L’intervento di traumi psico-affettivi o fisici è talvolta addotto dai malati. Il sole e i raggi ultravioletti non rivestono alcun ruolo scatenante; essi invece la rivelano accentuando il contrasto tra cute colpita che non si pigmenta, e quella indenne che si pigmenta.
In base alla modalità di distribuzione e all’estensione delle lesioni vengono classicamente distinte due forme: la generalizzata e la localizzata.
La prima è la forma più frequente e colpisce più distretti cutanei simmetricamente e bilateralmente.
Nell’ambito di questa forma vengono distinte tre forme cliniche:
– la vitiligine acro-faciale, caratterizzata dall’interessamento del viso e delle estremità più distali degli arti.
– la vitiligine volgare, dove sono presenti lesioni multiple distribuite a livello delle aree fotoesposte, le regioni periorifiziali, le pieghe, l’areola mammaria e i genitali esterni.
– la vitiligine universale, caratterizzata dall’estensione della depigmentazione alla quasi totalità della superficie cutanea, con risparmio di poche aree di cute normale, che per contrasto appare iperpigmentata.
La vitiligine localizzata colpisce una singola regione corporea .Le macule acromiche possono seguire una distribuzione focale, se la sede di comparsa è casuale, o segmentaria, quando si dispongono nelle aree tipiche di uno o più dermatomeri. La forma segmentarla presenta alcune caratteristiche distintive rispetto alle altre forme cliniche: età di comparsa più precoce, estensione rapida delle lesioni all’intero dermatomero interessato seguita da fase di quiescenza della patologia, scarsa risposta alla terapia.
Diverse teorie sono state avanzate per spiegare la comparsa delle lesioni della vitiligine.
I fattori causali non si escludono reciprocamente, piuttosto possono tutti contribuire in vario grado alla patogenesi del disordine.
Il primo fattore per importanza è quello ereditario. La modalità di trasmissione sembra legata a meccanismi poligenici, con coivolgimento di tre o più geni diallelici. La natura dei geni coinvolti non è stata chiarita, sebbene si sia ipotizzato che il terreno genetico dei pazienti possa rendere i melanociti più suscettibili al danno cellulare.
Al momento, comunque, le ipotesi di ricerca si orientano in tre direzioni: autocitotossica, neuronale, autoimmune. Le ipotesi possono essere anche complementari per dar luogo ad una teoria “combinata”.
Secondo l’ipotesi autocitotossica la vitiligine è una malattia dell’intera epidermide in cui si realizza uno squilibrio biochimico che porta all’ inibizione della sintesi di tirosinasi e melanina. Nei pazienti affetti da vitiligine l’attività della 4α-idrossi-BH4 deidratasi è bassa, con conseguente aumento di 7-BH4 e di perossido di idrogeno nell’epidermide.
Poiché il 7-BH4 è un potente inibitore della fenilalanina idrossilasi, il suo accumulo nell’epidermide comporterebbe un difetto della sintesi di melanina. In questi pazienti l’attività della catalasi è molto bassa e poiché questo è l’enzima deputato alla rimozione di H2O2 dai melanociti, si ha come conseguenza un’aumento della tossicità del perossido di idrogeno. Inoltre, il difetto della sintesi di catecolamine e l’aumento della monoaminoossidasi comportano un’aumento della norepinefrina nell’epidermide e nel plasma dei pazienti, che provocherebbe un’aumento dell’autotossicità.
A questa ipotesi, si affianca la teoria che un deficit di protezione del danno da radicali liberi possa essere uno dei fattori nella patogenesi della vitiligine. Alcuni autori hanno infatti dimostrato che melanociti provenienti da pazienti affetti da vitiligine presentavano normali livelli di superossido dismutasi, aumentata concentrazione di vitamina E, ma ridotti livelli di catalasi e ubichinone.Questo squilibrio di antiossidanti potrebbe essere in correlazione con il danno perossidativo delle cellule. L’ipotesi neuronale si basa sulla presenza della vitiligine segmentale. Alcuni autori hanno dimostrato in biopsie di cute con vitiligine un aumentato spessore della membrana basale delle cellule di Schwann.
Questa modificazione è stata osservata in ¾ dei nervi dermici nella cute affetta da vitiligine e solo in ¼ dei nervi nella cute sana.
Inoltre sono state riportate anomalie nella secrezione di beta-endorfina e metencefalina e un’aumentata immunoreattività al neuropeptide Y e al VIP.
L’ipotesi autoimmune è sostenuta dal fatto che tale patologia si associa frequentemente a patologie autoimmuni. Ma i soli anticorpi che sono stati ritrovati sono quelli contro la tireoglobulina e i microsomi. Anticorpi contro i melanociti sono stati ritrovati nel siero di pazienti con vitiligine, ma sono rivolti verso strutture antigeniche espresse da varie popolazioni cellulari, tra cui anche i cheratinociti.
Comunque, anticorpi antimelanociti sono riscontrabili anche in soggetti sani e quindi non è chiaro il significato da attribuire a tale titolo anticorpale.
Nel 77% dei pazienti affetti da vitiligine sono stati dimostrati anticorpi anti tirosinasi, ma resta da spiegare nel rimanente 23% dei casi, dove tali anticorpi non vengono riscontrati.
I disordini tiroidei sono le malattie più frequentemente osservate in pazienti con vitiligine, sebbene le stime varino a seconda delle diverse popolazioni di studio.
In particolare le tiroiditi autoimmuni sono quelle più spesso implicate, mentre le forme non autoimmuni mostrano una frequenza simile a quella della popolazione generale.
Bisogna sottolineare che è anche possibile la presenza di una tiroidite sub clinica in corso di vitiligine.
La diagnosi è facile e l’intensità della diminuzione della pigmentazione si valuta attraverso il confronto con la cute sana circostante nei casi localizzati e con la cute dei genitori quando è colpito tutto il tegumento. A volte però è difficile riconoscere lesioni appena ipopigmentate in soggetti di carnagione chiara, e quindi in questi casi è utile l’esame alla luce di Wood. L’esame alla luce di Wood deve essere praticato su ogni soggetto che si presenta con una alterazione della pigmentazione; infatti nel caso di lesioni ipopigmentate, la luce di Wood accentua il contrasto tra cute lesionale e la cute normale.
Per un inquadramento di base del paziente con vitiligine conviene chiedere uno screening anticorpale volto ad escludere la presenza di altre patologie autoimmuni. Può essere richiesto un videat oculistico qualora il paziente riferisca disturbi visivi, vista la possibile associazione con patologie oculari quali iridocicliti, nell’ambito di sindromi ereditarie più complesse. Anche i disturbi dell’udito vanno valutati con attenzione, potendo rappresentare la spia di una patologia ereditaria come la sindrome di Waardenburg che associa vitiligine, piebaldismo (una ciocca di capelli bianchi) e sordità.