FOTOTERAPIA

La fototerapia ha sempre rappresentato uno degli approcci terapeutici più efficaci nella vitiligine, patologia nella quale i tentativi terapeutici spesso avvengono su base empirica. L’efficacia della fototerapia si basa sulla possibilità di stimolare la comparsa di una ripigmentazione nelle aree affette da vitiligine, promuovendo la ripopolazione di dette aree da parte dei melanociti provenienti dalla cute sana perilesionale e dal “reservoir” costituito dai follicoli piliferi. Lo stimolo è rappresentato dalla radiazione ultravioletta, associata o meno alla somministrazione sistemica o topica di prodotti fotosensibilizzanti. L’elioterapia ha fornito risultati incostanti, come del resto la fototerapia con UVB a banda larga (UVB convenzionali o “broad band”). Con l’introduzione della PUVAterapia negli anni 70, questa è stata impiegata anche nella vitiligine.

La PUVA terapia nella vitiligine

Fino a pochi anni fa, la PUVA rappresentava il trattamento fototerapico di prima scelta per questa patologia. Attualmente, al fine di evitare gli effetti collaterali dovuti all’assunzione orale degli psoraleni, si tende quando è possibile, e ne esistono le indicazioni, a praticare una fototerapia con UVB a banda stretta (TL01).

La PUVAterapia può essere praticata, sia facendo esporre il paziente (dopo assunzione orale dello psoralene) ad una sorgente artificiale di UVA, oppure alla luce solare (PUVASol, chemioelioterapia). Quest’ultima modalità di trattamento, piuttosto in voga alcuni anni orsono, deve essere sconsigliata perché, non essendo controllabile con precisione la dose di UVA ricevuta durante l’esposizione solare, possono comparire violente reazioni fototossiche. Il numero massimo di sedute da effettuare generalmente varia in base ai risultati che si ottengono: tendenzialmente si cerca di restare tra le 100 e le 150 sedute. I risultati dipendono dall’estensione della patologia, dalla durata della stessa e dalla risposta individuale. Tuttavia nel 50% dei casi si ottengono risultati poco soddisfacenti. A causa della scarsa risposta di alcuni distretti cutanei alla PUVA, come ad esempio mani e piedi, l’indicazione al trattamento deve essere valutata accuratamente quando la patologia interessa queste aree, specialmente in termini di rischi – benefici. La miglior risposta terapeutica si ottiene sul volto, mentre il tronco e la parte prossimale degli arti hanno una risposta intermedia.

Vi sono diverse possibilità di somministrazione dello psoralene nella PUVAterapia:

1) Applicazione topica (PUVA topica): consiste nell’applicare localmente un topico contenente psoraleni e nella successiva irradiazione con UVA.

Effetti collaterali: sono possibili reazioni fototossiche locali con comparsa di bolle ed esiti pigmentari. Uno studio controllato recente ha mostrato la superiorità della fototerapia con UVB a banda stretta rispetto alla PUVA terapia topica (Westerhof, 1997). Noi riteniamo che un ricorso alla PUVA topica possa essere giustificato in quei casi in cui l’estensione della malattia è molto limitata e non si è ottenuta una ripigmentazione soddisfacente con gli UVB a banda stretta.

2) Assunzione orale (PUVA terapia sistemica): consiste nell’assunzione orale di psoraleni, in genere metossalene (8-MOP) al dosaggio di 0,6-0,8 mg/kg due ore prima dell’esposizione alla radiazione UVA. Nel nostro Istituto, il protocollo adottato per la vitiligine prevede tre sedute a settimana, a giorni alterni, con incremento di 0,5 J/ cm2 ogni settimana, in assenza di rilevanti fenomeni fototossici; deve essere mantenuto costantemente un eritema lieve sulle zone trattate, e di questo va informato il paziente. Una PUVA terapia che non genera una reazione eritematosa rischia di essere poco efficace. Questo protocollo è evidentemente meno aggressivo di quello da noi utilizzato per la psoriasi a causa della più marcata fotosensibilità della cute affetta da vitiligine. Quando compaiono i primi segni di ripigmentazione (in genere dopo 15-20 sedute) conviene ridurre gradualmente la frequenza delle sedute a due a settimana e poi a una. Un ciclo di trattamento può durare anche uno o due anni (tempo necessario per ottenere una ripigmentazione soddisfacente dal punto di vista estetico). Molto importante è calcolare la dose cumulativa di UVA al termine del trattamento in modo tale da non superare la dose totale limite anche nel caso in cui il paziente dovesse effettuare un secondo ciclo di trattamento. Quando viene raggiunta una dose cumulativa di UVA pari a 1.000 J/cm2 conviene fare una valutazione critica dei risultati ottenuti per valutare se sia giustificata una prosecuzione della terapia. In ogni caso non dovrebbe mai essere superato il dosaggio cumulativo massimo di 1.500 J/cm2.

Controindicazioni all’impiego della PUVA terapia: si tratta di una terapia non esente da rischi a breve termine (fototossicità) e a lungo termine (photoaging, carcinogenesi). Va evitata in caso di: malattie cutanee fotoindotte o fotoaggravate; grave insufficienza epatica e/o renale; precedenti terapie con radiazioni ionizzanti o con arsenico; pregresse neoplasie cutanee maligne; gravidanza; allattamento; età inferiore a 12 anni; l’appartenenza al fototipo I e la presenza di numerosi nevi, rappresentano una controindicazione relativa.

Oggigiorno le indicazioni al trattamento della vitiligine con la PUVA terapia sono piuttosto limitate e questo si deve alla recente introduzione del trattamento fototerapico con UVB a banda stretta, che fornisce risultati migliori in assenza di significativi effetti collaterali. Il tentativo terapeutico con PUVA andrà riservato a quei casi in cui la risposta alla fototerapia UVB a banda stretta è stata insoddisfacente; in questi casi, talvolta, la risposta alla PUVA terapia può essere migliore. Vista la lunghezza del trattamento e il conseguente impegno richiesto, è consigliabile informare con completezza il paziente e verificare che vi sia una adeguata motivazione.

La fenilalanina

Viene prescritta, per via sistemica, in associazione alla esposizione ai raggi UVA. La fototossicità è minore rispetto agli psoraleni. Alcuni AA. Hanno riportato discreti risultati. Le intolleranze digestive sono frequenti, Attualmente l’impiego di questa sostanza non appare più giustificato, disponendo di altre terapie molto più efficaci e sicure come la fototerapia UVB a banda stretta.

La kellina

La kellina è stata impiegata sia per via sistemica che per via locale in associazione agli UVA (KUVA). Per via sistemica gli effetti collaterali sono importanti, specie quelli a carico dell’apparato gastro-intestinale e l’epatotossicità. La kellina locale, di solito sotto forma di unguento al 4% viene utilizzata come lo psoralene nella PUVA topica. I risultati, secondo alcuni, sono buoni, secondo altri, non sono superiori a quelli di un placebo. Si può prescrivere in associazione alla elioterapia (15-20 minuti prima dell’esposizione al sole).

La PUVAsol

Con questo termine si intende la pratica della PUVAterapia sfruttando l’esposizione al sole invece delle lampade artificiali emettenti UVA. Lo psoralene più utilizzato in questo caso è il trimetilpsoralene (TMP) provvisto di maggior fototossicità rispetto all’8-MOP. Dopo 2 ore dall’assunzione del farmaco, segue l’esposizione al sole, con tempi progressivamente crescenti partendo da alcuni minuti. Pur mostrando una certa efficacia, questa pratica è da sconsigliare per l’elevato rischio di reazioni fototossiche dovute ad eccessiva e non controllata esposizione solare.

La fototerapia UVB a banda stretta (UVB TL01)

La fototerapia con raggi UVB a banda stretta (detta anche TL01 dal nome commerciale dei tubi fluorescenti impiegati) è stata introdotta alla fine degli anni 80 per il trattamento della psoriasi, patologia nella quale ha fornito ottimi risultati. La caratteristica fondamentale della sorgente irradiativa è quella di emettere raggi UVB con un picco a 311 nm, caratteristica che ha portato alla denominazione di “banda stretta” in contrapposizione agli UVB a “banda larga”. Vengono quindi eliminate le lunghezze d’onda eritemigene degli UVB a banda larga, comprese tra i 290 ed i 310 nm. Sembra che nella psoriasi l’effetto terapeutico positivo sia legato all’emissione concentrata a 311 nm che sarebbe la lunghezza d’onda più efficace in questa patologia. La ridotta efficacia eritemigena fa si che la minima dose eritema (MED) che si ottiene con le lampade TL01 sia molto più alta rispetto a quella che si ottiene con gli UVB a banda larga. Il tentativo di trattare la vitiligine con gli UVB a banda stretta fu all’inizio del tutto empirico. La prima pubblicazione degna di nota, relativa ad una ampia casistica, fu quella di Westerhof comparsa nel Dicembre 1997 (Archives of Dermatology) che dimostrava la superiorità della fototerapia UVB a banda stretta rispetto alla PUVAterapia topica. Nel ns. Servizio di Fototerapia abbiamo trattato fino ad oggi più di 4000 pazienti, purtroppo ne rimangono più di 2000 in lista di attesa per eseguire il trattamento con UVB a banda stretta. La mancanza di personale, i costi elevati dei macchinari, l’irrisorio rimborso della Regione e la scarsa considerazione dei vertici delle strutture sanitarie per questa patologia rappresentano le cause di queste lunghe liste di attesa. Noi abbiamo ottenuto risultati apprezzabili, soprattutto nelle forme ad insorgenza recente. Abbiamo inoltre rilevato, come nel caso della PUVAterapia, una migliore risposta terapeutica sul volto, rispetto ad altre sedi corporee. Soprattutto si è resa apprezzabile la rapidità di risposta alla fototerapia che si ottiene con l’UVB a banda stretta: entro i primi tre mesi, circa l’80% dei soggetti mostra una risposta al trattamento. Tuttavia i tempi di trattamento necessari per ottenere la ripigmentazione completa sulle aree vitiligoidee che hanno mostrato una risposta positiva possono anche arrivare ad un anno ed oltre. A questo punto si pone il problema della pericolosità degli effetti a lungo termine della fototerapia con UVB a banda stretta, specialmente per quanto riguarda la induzione della cancerogenesi. I dati presenti in letteratura, che si riferiscono soprattutto all’animale di laboratorio, hanno fornito risultati controversi. Tuttavia, finchè non disporremo di dati certi relativi all’uomo e di un adeguato periodo di follow up, è bene essere prudenti e valutare accuratamente la presenza di indicazioni valide al trattamento.

Nella vitiligine le indicazioni al trattamento sono le stesse che valgono per la fototerapia in generale, dipendenti in gran parte dalla capacità delle zone cutanee trattate a rispondere allo stimolo UV con il fenomeno della ripigmentazione. La risposta alla terapia può essere prevedibile entro certi limiti: in casi particolari una biopsia cutanea, eseguita prima dell’inizio del trattamento, permetterà di ricercare nelle zone colpite la presenza di cellule DOPA-positive nel derma, la cui presenza contribuirà a confermare l’indicazione. D’altra parte, la presenza di peluria bianca in corrispondenza delle lesioni rappresenterà un indice prognostico sfavorevole per quanto riguarda i risultati della terapia. La fototerapia UVB TL01 presenta l’importante vantaggio di poter essere impiegata nei bambini ( età > 6 aa), al contrario della PUVA, con buoni risultati.

Follow-up: una documentazione fotografica da effettuarsi prima, durante, e dopo il trattamento potrà essere d’aiuto nella valutazione dei risultati ottenuti. I primi segni di efficacia della terapia si manifestano come arresto dell’estensione delle lesioni vitiligoidee e come comparsa di ripigmentazione in corrispondenza degli orifizi follicolari. In genere queste risposte terapeutiche si manifestano dopo 2-3 mesi di trattamento.

Controindicazioni ed effetti collaterali: le controindicazioni sono quelle legate all’esposizione ai raggi UV in generale, e sono quindi le stesse della PUVAterapia (familiarità per melanoma, pregresso melanoma, neoplasie cutanee, patologie indotte o aggravate dalla luce UV, ecc). Gli effetti collaterali si limitano alla comparsa di eritema in caso di sovradosaggio, a dire il vero evenienza piuttosto rara, almeno stando alla nostra casistica.

NOVITA’

In base alla teoria secondo la quale nella vitiligine vi sarebbe un danno ai melanociti indotto da radicali liberi e specie reattive dell’ossigeno (reactive oxygen species: ROS), quindi uno “stress ossidativo”, sono stati da noi proposti trattamenti con integrazione di antiossidanti per via orale.

Importanti lavori scientifici pubblicati dal Laboratorio di Fisiopatologia Cutanea del ns. Istituto, hanno confermato l’utilità di un trattamento con antiossidanti nella vitiligine.

Il ruolo dei radicali liberi e delle specie reattive dell’ossigeno viene spesso evocato in numerosi processi patologici (arteriosclerosi, infiammazione, neoplasie) o degenerativi (invecchiamento). Una mole sempre crescente di dati suggerisce che i radicali liberi, in particolare i radicali liberi dell’ossigeno, rivestono un ruolo di primaria importanza nella genesi del fotodanno cutaneo, del fotoinvecchiamento e della fotocarcinogenesi. La cute è probabilmente l’organo bersaglio più suscettibile allo stress ossidativo ambientale perchè si trova direttamente esposta alle radiazioni ultraviolette e all’azione di sostanze capaci di generare ROS in presenza dell’ossigeno. Sebbene la cute possieda un efficiente e vario network antiossidante, molte sostanze ossidanti possono sfuggire alle maglie del sistema e causare un danno critico, specialmente nei casi in cui i meccanismi di difesa si trovino a fronteggiare un sovraccarico. La protezione nei confronti di questi effetti nefasti è uno dei problemi di maggiore attualità nel campo della fotobiologia cutanea. Queste ed altre recenti acquisizioni nella ricerca sui radicali liberi hanno aperto la strada ai trials terapeutici con antiossidanti esogeni.

Si può parlare più propriamente di effetto patogeno dei radicali liberi quando si verifica una rottura dell’equilibrio tra la produzione di questi e la loro distruzione ad opera dei sistemi di protezione e/o di regolazione endogeni. In questi casi l’aumentata formazione di radicali liberi sfuggita ai processi di regolazione porterà a danni consistenti a livello cellulare o tissutale. Il momento patogenetico che si ipotizza alla base della vitiligine potrebbe essere di questo tipo.

Va sottolineato come abbiano dimostrato maggiore efficacia, per via sistemica, le miscele di antiossidanti rispetto ai singoli principi attivi, stante a dimostrare come si rende necessario che la supplementazione si inserisca in maniera integrata in quel complesso sistema che è il pool antiossidante fisiologico. In base a questi rilievi abbiamo impiegato varie miscele di antiossidanti contenenti: betacarotene, vitamina C, vitamina E, oltre alla l-tirosina, la l-cisteina e altri nutrienti utili per la sintesi della melanina. In aggiunta possono essere aggiunti oligoelementi quali selenio, rame e zinco.

Sulla base di queste considerazioni e in seguito ai risultati positivi che abbiamo ottenuto nella vitiligine con la sola somministrazione di antiossidanti sistemici, abbiamo avviato degli studi che prevedono l’associazione degli antiossidanti con la fototerapia UVB a banda stretta. Oltre all’effetto scavenger sui radicali liberi, che influenzerebbe in modo positivo l’evoluzione della vitiligine, non è da escludere che vi sia anche un effetto fotoprotettivo legato alla somministrazione di antiossidanti nel senso di un innalzamento della soglia di eritema ed una riduzione dei fenomeni infiammatori conseguenti all’esposizione agli UV. In tale maniera la fototerapia UVB a banda stretta verrebbe anche tollerata meglio ed il dosaggio potrebbe essere incrementato con maggior tranquillità. Oltre alla miscela di antiossidanti, ci sembra utile associare, nel caso specifico della vitiligine, quei nutrienti ed oligoelementi che potrebbero avere un ruolo positivo nel processo di formazione delle melanine ed in particolare: l-tirosina, l-cisteina, rame, zinco, vitamina B2 (riboflavina) e vitamina D3. Queste sostanze, in conclusione, agiscono tutte favorendo la conversione della tirosina a diidrossifenilalanina, facilitando quindi il compito della tirosinasi. Della tirosina è ben conosciuto il ruolo fondamentale svolto nel pathway che porta alla sintesi della melanina: si ritiene pertanto che un adeguato apporto della sostanza sia di aiuto all’ottenimento di una efficace risposta pigmentogena conseguente all’irradiazione con ultravioletti.

Inoltre nei casi in cui si renda necessario ricorrere alla PUVAterapia sistemica una integrazione con antiossidanti può risultare utile, in quanto in grado di contrastare il danno ossidativo indotto dalla PUVA, che è capace di generare radicali liberi.

Fototerapie cosìdette “mirate”

Esistono degli Istituti privati che propongono terapie “mirate” che si basano sulla applicazione del fascio di luce ultravioletta su una zona molto limitata di cute. Questi trattamenti consentirebbero di non irradiare la cute sana nelle zone non affette da vitiligine. Esiste una apparecchiatura che irradia la cute con UVB a banda stretta mediante l’uso di una fibra ottica. Noi non abbiamo esperienza con questa terapia, ma esistono dati in letteratura che suggeriscono l’utilità di tale metodica. Si tratta di un sistema utile per trattare lesioni con estensione piuttosto limitata.