Per troppi anni si è pensato che la vitiligine fosse solo una patologia estetica. Ma non è così. È una vera e propria malattia che colpisce circa il 2% della popolazione. Significa che in Italia ci sono circa 600-900.000 pazienti che vedono alcune parti del corpo ricoprirsi di chiazze bianche. Senza contare che la vitiligine non colpisce solo la pelle perché procura disagi di carattere psicologico e relazionale. La buona notizia è che le terapie per arrestare la vitiligine, e ripigmentare la pelle, sono diverse, efficaci e si stanno evolvendo.
Ma c’è un’avvertenza importante da seguire quando si sceglie il proprio medico. «Occorre affidarsi a persone competenti, che facciano parte di network internazionali per la cura della vitiligine: purtroppo vi è un dilagare di esperti che propongono trattamenti “miracolosi” o tecniche di fototerapia che sono al di fuori dei protocolli internazionali. C’è anche chi incentiva addirittura terapie domiciliari con lampade comprate in Rete» avverte Andrea Paro Vidolin Responsabile del Centro di Fotodermatologia e cura della Vitiligine dell’Ospedale Israelitico di Roma, Scientific Advisor del Centro di Fototerapia Dermatologica di Roma e del Columbus Light Therapy Center Vitiligo Unit di Milano.
Cosa funziona veramente contro la vitiligine
Non fidarsi quindi delle promesse esagerate e del “sentito dire”. «Al momento l’unica cura validata a livello internazionale contro la vitiligine è composta da un complesso di terapie combinate da più trattamenti, come l’assunzione di antiossidanti specifici, l’applicazione di farmaci immunomodulanti e la fototerapia effettuata sia su vaste aree epidermiche che su aree mirate. Da un lato, la fototerapia stimola la pigmentazione, dall’altro lato i cortisoni topici, gli immunomodulatori e gli antiossidanti per bocca arrestano la patologia», puntualizza Paro Vidolin. Tutti questi trattamenti, somministrati insieme, aiutano i melanociti a riprendere la loro funzione.
L’arma vincente: luce e farmaci
La fototerapia prevede l’utilizzo di raggi UVB a banda stretta, emessi da particolari apparecchiature, cabine (per l’irradiazione di tutto l’ambito cutaneo) o la cosiddetta microfototerapia con il laser ad eccimeri per l’irradiazione delle singole chiazze.
Mentre la terapia farmacologica consiste nell’applicazione topica di farmaci che agiscono sull’autoimmunità cellulare, favorendo la ripigmentazione. Un esempio è il tacrolimus da affiancare ai corticosteroidi per un tempo limitato.
Nel frattempo molto promettente si è rivelato un farmaco che agisce sui recettori JAK1-2 allo scopo di controllare il processo infiammatorio alla base della cessazione dell’attività dei melanociti. Si tratta del ruxolitinib, già in commercio negli States, di cui si attende l’approvazione in Europa e successivamente in Italia. «A queste terapie si aggiunge la possibilità di trapiantare le cellule epidermiche sane allo scopo di favorire la ripigmentazione della cute: ossia il trapianto autologo di sospensione cellulare, una tecnica recente che si effettua in una sola seduta per trasferire i melanociti nelle chiazze di vitiligine. Questa procedura è possibile in caso di vitiligine stabile e segmentale.